L’interpretazione della giurisprudenza di legittimità e di merito dell’art. 101 comma V, TUIR (Testo Unico Imposte sui Redditi) secondo il quale le perdite sui crediti sono deducibili se il risultano da elementi certi e precisi ed in ogni caso se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali.
L’art. 101, comma V, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi dispone che “le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali”.
Pertanto, se il debitore viene assoggettato a procedure concorsuali la perdita relativa al credito vantato nei confronti del soggetto fallito è certamente deducibile.
Dubbi erano sorti circa il periodo di imposta nel quale operare la deduzione, ma la Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che il creditore può dedurre la perdita per il periodo di imposta nel quale il fallimento è dichiarato o per il periodo di imposta nel quale viene chiuso il fallimento e approvato il piano di riparto (Cass. 29.10.2010 n. 22135).
Con riferimento alla sussistenza di quegli “elementi certi e precisi” dai quali la legge (art. 101 TUIR cit.) fa dipendere la deducibilità delle perdite derivanti da crediti inesigibili, si registrano due posizioni differenti della giurisprudenza di merito e di legittimità.
In particolare, la giurisprudenza si è trovata ad affrontare il caso in cui il contribuente aveva preferito cedere il credito ritenendolo inesigibile e il caso in cui il contribuente aveva invano agito mediante esecuzione forzata per recuperare il proprio credito.
In sintesi, ci si è chiesti se i) la cessione pro soluto del credito integri i requisiti di certezze e precisione pretesi dalla legge e ii) se tali elementi siano integrati quando il creditore abbia coltivato tutte le azioni giudiziarie necessarie al recupero del credito senza ottenere risultati.
i) Secondo un orientamento piuttosto consolidato della Corte di Cassazione, “la cessione pro soluto dei crediti ritenuti inesigibili non comporta comunque la deducibilità degli stessi, allorché non siano presenti dati di riferimento precisi” (Cass. 6.4.2000 n. 1381, in senso conforme si sono espresse successivamente Cass. 23.5.2002 n. 7555 e Cass. 20.11.2001 n. 14568).Secondo tale orientamento, dunque, la cessione pro soluto del credito ritenuto inesigibile non integra quei requisiti di certezza e precisione previsti dall’art. 101 TUIR che consentono la deducibilità fiscale della perdita: infatti l’imprenditore può trovare conveniente cedere il credito quando, a suo giudizio, coltivarne il recupero potrebbe inficiare i rapporti con un cliente importante,oppure – più semplicemente – essere meno conveniente della cessione a terzi.
Anche l’Agenzia delle Entrate ha condiviso tale orientamento e, nella risoluzione 70/E del 2008, ha anzi precisato che “la cessione dei crediti rientra nel novero i quelle operazioni per le quali l’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 37bis DPR 600/1973, può disconoscere i vantaggi tributari conseguiti mediante atti fatti e negozi privi di valide ragioni economiche e diretti ad aggirare obblighi o divieti e ad ottenere ideazioni di imposte o rimborsi di indebiti”.
Alla luce di quanto sopra, il contribuente dovrà rigorosamente provare l’inesigibilità del credito ceduto e dunque l’inevitabilità della relativa perdita.
ii) Quanto all’ipotesi, parimenti frequente nella pratica, per cui il creditore abbia coltivato tutte le azioni giudiziarie necessarie al recupero del credito senza ottenere risultati, si assiste ad una divaricazione interpretativa tra l’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate e la giurisprudenza delle corti di merito.
a) L’Amministrazione finanziaria si è espressa sul punto già nel 2009, con la risoluzione n. 16/E, ed ha fornito una interpretazione restrittiva dell’art. 101, comma V, TUIR, secondo la quale “una situazione di (temporanea) il liquidità – ancorché seguita da un pignoramento infruttuoso – non può essere ritenuta sufficiente a legittimare la deduzione del credito non incassato, richiedendosi, a tal fine, una più complessa e articolata valutazione della situazione giuridica della specifica partita creditoria del singolo debitore cui quest’ultima è riferita”. E tale valutazione, prosegue la Risoluzione, è compiutamente fornita solo dall’accertamento giudiziale o da parte di un’autorità amministrativa, dello stato di insolvenza del debitore.
Ma l’Agenzia delle Entrate si spinge oltre, e afferma che tali principi rimangono fermi e vanno rigorosamente applicati anche laddove il debitore, per sua natura, non può essere assoggettato a procedura concorsuale: anzi, secondo la Risoluzione citata, il fatto di non essere suscettibili di fallimento (o assoggettamento ad altre procedure concorsuali) “costituisce un elemento positivo che determina una positiva valutazione circa la probabilità di recuperare il credito non esatto”.
b) La giurisprudenza di merito ha espresso un orientamento più favorevole al contribuente.
La Commissione Tributaria Regionale delle Marche, con sentenza n. 113/2010 ha fornito un’interpretazione meno rigida e più favorevole al contribuente dell’art. 101, V comma, TUIR, ed ha affermato che gli elementi “certi e precisi” richiesti dalla legge possono essere desunti anche dai solleciti di pagamento e dalle relazioni dei professionisti che, dall’esame dei bilanci, attestino la situazione di dissesto del debitore. Dunque, secondo questa sentenza, anche lo stato di dissesto del debitore, risultante da evidenze oggettive, determina l’inevitabilità della perdita e, dunque, la deducibilità della stessa.
La Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, con sentenza 95/2011, ha affermato che è legittimo passare a perdita il credito quando si ritenga inopportuno coltivarne il recupero in via giudiziale, o perché di lieve entità, o per evitare di inficiare buoni rapporti commerciali con il debitore. Naturalmente le motivazioni poste alla base di tale decisione devono essere adeguatamente provate.
Invero la sentenza della corte emiliana si pone in linea di continuità con l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione (sentenza 17087/2009), per cui è legittima la scelta dell’imprenditore di non instaurare un’azione giudiziaria che lo esporrebbe al rischio di rovinare i rapporti con il proprio cliente, tuttavia tale assunto deve essere rigorosamente provato: “non è necessario che il creditore fornisca la prova di essersi positivamente attivato per conseguire una dichiarazione giudiziale dell’insolvenza del debitore e, quindi, l’assoggettamento di costui ad una procedura concorsuale; è sufficiente che tali perdite risultino documentate in modo certo e preciso”.
In conclusione, solo la dichiarazione di fallimento del debitore, o l’assoggettamento del medesimo ad altra procedura concorsuale, è elemento certo e preciso che consente la deducibilità della relativa perdita.
In tutti gli altri casi è fondamentale la prova dell’inevitabilità della perdita stessa, sia essa connessa alla decisione di non coltivare azioni giudiziarie per conservare buoni rapporti commerciali, oppure perché si ritiene più conveniente cedere il credito a terzi. O, ancora, occorre dare evidenza del dissesto del debitore risultante dai bilanci, oppure, del fatto che sono state intraprese infruttuosamente tutte le azioni esecutive possibili su tutti i beni utilmente aggredibili del debitore.
E’ infatti prassi fornire tale prova attraverso la relazione del proprio legale che descriva tutta l’attività di recupero svolta e suggerisca di passare a perdita il credito.
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